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Annalisa Iuri

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Critica Giancarlo Bonomo

Riflettendo in diverse occasioni sull’opera di Annalisa Iuri, ho sempre considerato la sua indagine in direzione di una conquista – in senso cognitivo- della materia. Una materia che vive la nostra vita e la domina, di cui siamo composti sia a livello sensibile che sopra sensibile nell’ipotesi - e non tesi assoluta - che anche lo spirito sia materia atomica altra sottile, indistruttibile.

Ogni cosa suscita ed anzi accende la curiosità onnivora della Iuri. Residui industriali con tanto di slogan pubblicitario alla maniera pop, pezzi di cartone da riciclare, stoffe, lattine, laminati e quant’altro dimenticato dall’uomo non più faber (magari lo fosse ancora!) ma oeconomicus sollecitano la sua coscienza ecologica o semplicemente il senso della vita.

Nell’analisi della materia non vi è discriminazione, non vi è giudizio. Ogni oggetto recupera un suo ruolo, una probabile dignità se non funzionale almeno estetica, simbolica in un tempo che tritura e trangugia ogni cosa bollata come inutile o non produttiva.

La pittrice opera così una scelta di campo ben precisa. Sente di avere in mano gli strumenti del “mestiere” di artista ed inizia la ricerca volta ad assemblare il tutto al fine di un significato che rispecchi un orizzonte interiore, una necessità di fare ordine e, perché no, una ferma opposizione al concetto di “rifiuto”.

C’è veramente qualcosa di così inutile da poter essere dimenticato per sempre? Nel sentiero della sua vita, che sovente coincide con l’arte, la Iuri alza il sipario su mondi fantastici che sarebbe riduttivo - dato l’abuso del termine - definire informali. La forma invece si presenta ma priva di formalità, di collocazione per forza razionale. Materiali impensati assumono funzioni inedite e partecipano, da protagonisti, a invenzioni polimateriche che si sovrappongono alla

Pittura con effetti fantasmagorici che ci colgono di sorpresa, come squarci di luce nel buio della nostra mente stordita da un consumismo che scambia il superfluo per il necessario, come gioco perverso.

Non so se nella pittrice prevalga più la denuncia ecologica o più la curiosità di operare con schemi inconsueti, alternativi.

Forse entrambi i casi o forse…una verità è nascosta nell’intima essenza delle cose, di ogni cosa-anche l’ultima- che sicuramente ci comunica una vibrazione, una sensazione epidermica.basterebbe fare un pò di silenzio e, con umiltà, osservare con gli occhi del cuore quei materiali che nessuno vuole più.

Magari così capiremmo molto più di noi e di questo mondo indecifrabile e confuso.

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